Casa mia non ha le ringhiere

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La poesia di Lorenzo Mele è semplice e complessa assieme. Semplice nel linguaggio, come la poesia di Franco Arminio, ma variegata nei piani di lettura, soprattutto – ribadiamo – sul versante biografico ed esistenziale. La sua è una “memoria tattile”, fa riferimento ai sensi come scatole cinesi dove tutto è possibile, tutto è ritrovabile. La memoria è la casta sorella dell’oblio, ed è impossibile rinnegare il suo accento vibrante sulle nostre ore. “Cenere e spavento”: Lorenzo Mele si serve dell’ossimoro per raccontare il flusso delle sue memorie; ci tiene all’azione taumaturgica delle stesse, ma allo stesso tempo sa che il passato può tirare i remi in barca, lasciarci immobili in una palude perniciosa. Mele si salva con la poesia, e rimedia di ciò che la vita gli ha tolto fermando in istantanee, in “gergo di fotografia” quel che la vita gli ha tolto e, per converso, gli ha regalato.

Dalla prefazione di Fabrizio Cavallaro

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