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Gli inabissati

Valutato 5.00 su 5 su base di 4 recensioni
(4 recensioni dei clienti)

€ 12,00 € 10,00

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Gli Inabissati sono una generazione intera, malati di sicilitudine da permanenza o sicilitudine da esilio. Sommersi dal lento salire dell’alta marea, fatta di mancanza soffocante di prospettive, o forse travolti da una violenta mareggiata causata dal terremoto di una rivoluzione, essi annaspano da sempre e si aggrappano, disperati, a ogni sperone che possa promettere rifugio o vendetta. Non lo sanno ancora, ma il Fato ha in serbo un inabissamento reale della loro isola e per attuarlo ha affidato un decreto agli dèi del Pantheon che, dopo un lungo e snervante dibattito presieduto da Zeus, lo metteranno in atto a modo loro. Ma c’è un abisso, intimo e irripetibile, per ciascuno. Alle vicende degli Inabissati e alle decisioni degli dèi si intrecciano le storie del Provvidenza Calzature, dove vive il suo abisso di immobilità Rosa, la proprietaria: donna tenace, in ostaggio al suo negozio e all’amore per il marito malato. Rosa ha tre figli: Valeria, insegnante precaria, Luca, fuggito da casa poco più che adolescente, e Antonia che vive a Roma e lavora a RadioTeleOlimpia. Spettatrice indolente dell’effimero mondo della Televisione, Antonia si sta inabissando e, inseguita dai mostri della propria coscienza, tirerà le fila di tutti i piani narrativi di questo racconto che è “una storia che non diviene, ma solo si snocciola, si cunta”.

Categorie: Catalogo, Echos, Home page, Narrativa Tag: Amelia Colanton, Gli inabissati, Romanzo, Sicilia, TV
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  • Recensioni (4)

4 reviews for Gli inabissati

  1. Valutato 5 su 5

    Arturo – 3 Aprile 2017

    Ottima riflessione ,della condizione umana di chi ha dovuto lasciare la propria isola ed è costretto a viverla nel ricordo e nella memoria

  2. Valutato 5 su 5

    Teresa – 29 Settembre 2017

    Un libretto piccolino ma valoroso.
    Ebbene cosa c’è di meglio di un libro piccolo, scritto divinamente (e di divinità, quelle dell’antica Grecia, ce ne sono parecchie nel racconto) e pregno di verità, di delicatezza, di garbo. Perché ne abbiamo abbastanza dei grandi tomi vuoti e senza senso.

    Partiamo dalla scrittura. Semplice, curata, vicina a qualunque lettore, anche il non siciliano. Le parole dialettali sparse qua e là oltre ad avvicinare chi legge alla scena, rendendo il linguaggio più colloquiale possibile, servono anche a stemperare la tensione che cresce piano piano in tutta la narrazione. Un climax di sentimenti che negli ultimi capitoli esplode e travolge il cuore quasi come uno tsunami.

    I personaggi sono molto ben delineati e il lettore, dopo aver finito di leggere il libro, se li porterà nella mente ancora per molti giorni, quasi in una catarsi che si protrae nel tempo. Ma perché? Perché l’autrice è riuscita a renderli vivi. Bè, sì, direte voi, erano vivi…quindi? La caratterizzazione del personaggio non è cosa semplice e Amelia, con l’utilizzo impeccabile di un narratore onnisciente, è riuscita nell’arduo compito dello scrittore di farceli immaginare, di amarli e apprezzarli. Io me la vedevo proprio la zi’ ‘Ntonia, “bofonchiosa” (mi sia concesso questo neologismo, presuntuosamente migliore di “petaloso”), seduta alla sua sedia del negozio Provvidenza, mamma Rosa col suo fare garbato con ogni cliente, amorevole punto di riferimento per ogni figlio, il bel Luca alle prese con la ricerca di sé stesso e Antonia, a Roma, immersa nel suo mondo televisivo.

    E proprio di Antonia voglio parlare. La protagonista/non protagonista perché tutto vuole tranne che imporsi agli occhi degli altri e quindi anche del lettore: colei che si sente privilegiata (nonostante i sacrifici di sempre), che si colpevolizza per un lavoro che ha e che gli altri non hanno; colei che soffre la lontananza dalla famiglia e dal padre malato in particolare, in un eterno senso di colpa; colei che sente su di sé il peso di decisioni inesorabili che vengono prese da altri. L’anafora è d’obbligo quando si deve descrivere un personaggio così sfaccettato e che porta nell’anima sensazioni sempre crescenti. Lei che dagli inabissati si è voluta allontanare perché, nonostante fossero condivisibili alcune delle loro istanze, non poteva rimanere immobile ad aspettare che la sua terra sprofondasse. Gli inabissati, infatti, nonostante si muovessero e facessero tanto “scarmazzu” (direbbe forse zi’ ‘Ntonia), erano in realtà immobili, di quell’immobilismo gattopardiano che ha mandato tutto in malora, insomma “troppo rumore per nulla” per citare Shakespeare. Antonia si è trasferita in Continente non per codardia o per fare la bella vita, ma perché sperava di riuscire a dare una mano alla sua isola da lassù, dalla capitale. Ma il Fato è più forte, anche più forte del volere degli dèi dell’Olimpo, e più forte di ogni volontà umana quando questa non è supportata dai sacri ideali del bene comune e non viene unita ad altre siffatte volontà.

    Ebbene. La Sicilia, protagonista indiscussa di questo romanzo, da sempre martoriata da coloro che l’hanno governata, si inabissa; di fronte alla rassegnazione di tutti: di chi governa, beffardo e incapace, e di chi purtroppo, innocente e senza colpa, ci vive, ci ritorna (Luca, novello figliol prodigo), di chi si è impegnato fino allo strenuo delle sue forze (Colapesce), di chi l’ha amata e non la rivedrà mai più (Antonia) e di chi, allontanatasi per qualche giorno (mamma Rosa), ne conserverà nel cuore il ricordo e piangerà per la perdita dei suoi cari, come le mamme, le mogli di tutti coloro che in Sicilia sono periti per mano della mafia o del potere.

    Il messaggio si fa chiaro e vigoroso: svegliatevi uomini di buona volontà… Insieme, forse, prima che sia troppo tardi, si può ancora cambiare, cambiare veramente però, e trovare soluzioni contro l’inabissamento, in un viaggio di ritorno agli antichi valori che hanno reso grande la Sicilia e ricchi i suoi abitanti. Non si lotta da soli, o meglio per se stessi o per vendicarsi, si lotta per il bene comune e questo gli inabissati non l’avevano capito e avevano abdicato in favore del Fato.

    Bellissimo il riferimento al Lamento per il Sud di Quasimodo, lui che come Antonia ha dovuto abbandonare la Sicilia e ne ha sofferto (come tutti coloro che sono costretti ad andar via purtroppo):

    “e qui ripeto a te

    il mio assurdo contrappunto

    di dolcezze e di furori,

    un lamento d’amore senza amore”.

    Amelia fa pronunciare questi versi del poeta modicano ad Apollo. In fondo la Sicilia è terra sua, terra del Sole e dell’Amore e lui non fa mistero del dolore che prova ad abbandonarla al suo destino.

  3. Valutato 5 su 5

    Marta Galofaro – 5 Ottobre 2017

    Ne “Gli inabissati” di Amelia Colanton c’è il crudele e spietato Verismo verghiano nella descrizione di un popolo che ha scelto di essere sconfitto, vittima impassibile dei giochi di potere e complice dell’immobilismo che da sempre lo caratterizza, ma che quando decide di reagire lo fa nel peggiore dei modi, travolgendo tutto e tutti, persino se stesso, come il più terribile degli tsunami. C’è il teatro delle maschere di Pirandello che costringe ogni personaggio a recitare la parte che gli è stata assegnata mentre viene inevitabilmente investito dalla marea degli Inabissati e dal Fato cui persino gli dei devono sottostare.
    C’è la vita, forse vera protagonista, quella reale, passiva spettatrice dello scorrere di un tempo che inesorabile lascia attoniti spettatori di cambiamenti sempre più rari e, nella maggior parte dei casi, peggiorativi, cui anche la Provvidenza deve prima o poi arrendersi.
    Ci sono le preoccupazioni di una madre, Provvidenza anche lei, che si preoccupa per il destino dei propri figli, voce corale di una madre-Patria che assiste al tramonto del suo popolo, incapace di reagire ai giochi di potere di chi vuole arrivare ai posti prestigiosi di palazzo. Così tutti gli esclusi, delusi, affamati cercano di riappropriarsi del loro posto in quel mondo che li ignora e li calpesta. Pretendono ciò che sarebbe dovuto ma viene loro negato. Lo fanno con la violenza cieca e inaudita di un popolo stanco che prende la forma di cieca folla.
    Ma gli dei non assistono impotenti. Eseguono un decreto di catastrofe, una di quelle che, per un attimo, fanno fermare il mondo a riflettere sulla caducità della vita, sul proprio destino e sull’impotenza dell’uomo che si inabissa di fronte all’urlo della Natura, passivo spettatore della propria esistenza. Solo chi, caparbio, lotta ogni giorno forse si può salvare, solo chi va avanti ad oltranza, incurante del mondo che lo circonda e quasi insensibile alle sue catastrofi; solo chi, davanti a tanta devastazione, è disposto a rimettersi in gioco, a ricominciare per l’ennesima volta. Antonia, la protagonista, tesse, abile Aracne, le fila delle storie che si intrecciano e sovrappongono, facendo da filo conduttore alla storia.
    Lo stile sobrio, ma accurato, rende il periodare scorrevole e la lettura piacevole. Il linguaggio è quello semplice e colloquiale della gente comune che vive a fa vivere queste pagine, colorato di termini dialettali che rendono più vivace la narrazione e a tratti spezzano la drammaticità del racconto. Soprattutto quando messi in bocca alla zia ‘Ntonia, icona simbolo per antonomasia di una Sicilia che non c’è più o che forse in fondo è cristallizzata per sempre.
    Per i potenti dell’Olimpo, allegoria del potere, la Colanton ha scelto un linguaggio informale. È lo stesso che usa chi decide della sorte dei disgraziati, mettendo in evidenza solo superficialità e ignoranza. È il linguaggio irriverente di chi non si cura delle sorti dei più deboli e meno fortunati che dovrebbe piuttosto difendere poiché ne ha il potere.
    “Gli inabissati” è un libro forte. Consolo lo classificherebbe fra la sempre più rara letteratura d’impegno che si inabissa sotto il peso di una sempre più comoda letteratura d’intrattenimento. È un testo che lascia l’amaro in bocca e pretende le dovute riflessioni.

  4. Valutato 5 su 5

    Marta – 5 Ottobre 2017

    Ne “Gli inabissati” di Amelia Colanton c’è il crudele e spietato Verismo verghiano nella descrizione di un popolo che ha scelto di essere sconfitto, vittima impassibile dei giochi di potere e complice dell’immobilismo che da sempre lo caratterizza, ma che quando decide di reagire lo fa nel peggiore dei modi, travolgendo tutto e tutti, persino se stesso, come il più terribile degli tsunami. C’è il teatro delle maschere di Pirandello che costringe ogni personaggio a recitare la parte che gli è stata assegnata mentre viene inevitabilmente investito dalla marea degli Inabissati e dal Fato cui persino gli dei devono sottostare.
    C’è la vita, forse vera protagonista, quella reale, passiva spettatrice dello scorrere di un tempo che inesorabile lascia attoniti spettatori di cambiamenti sempre più rari e, nella maggior parte dei casi, peggiorativi, cui anche la Provvidenza deve prima o poi arrendersi.
    Ci sono le preoccupazioni di una madre, Provvidenza anche lei, che si preoccupa per il destino dei propri figli, voce corale di una madre-Patria che assiste al tramonto del suo popolo, incapace di reagire ai giochi di potere di chi vuole arrivare ai posti prestigiosi di palazzo. Così tutti gli esclusi, delusi, affamati cercano di riappropriarsi del loro posto in quel mondo che li ignora e li calpesta. Pretendono ciò che sarebbe dovuto ma viene loro negato. Lo fanno con la violenza cieca e inaudita di un popolo stanco che prende la forma di cieca folla.
    Ma gli dei non assistono impotenti. Eseguono un decreto di catastrofe, una di quelle che, per un attimo, fanno fermare il mondo a riflettere sulla caducità della vita, sul proprio destino e sull’impotenza dell’uomo che si inabissa di fronte all’urlo della Natura, passivo spettatore della propria esistenza. Solo chi, caparbio, lotta ogni giorno forse si può salvare, solo chi va avanti ad oltranza, incurante del mondo che lo circonda e quasi insensibile alle sue catastrofi; solo chi, davanti a tanta devastazione, è disposto a rimettersi in gioco, a ricominciare per l’ennesima volta. Antonia, la protagonista, tesse, abile Aracne, le fila delle storie che si intrecciano e sovrappongono, facendo da filo conduttore alla storia.
    Lo stile sobrio, ma accurato, rende il periodare scorrevole e la lettura piacevole. Il linguaggio è quello semplice e colloquiale della gente comune che vive a fa vivere queste pagine, colorato di termini dialettali che rendono più vivace la narrazione e a tratti spezzano la drammaticità del racconto. Soprattutto quando messi in bocca alla zia ‘Ntonia, icona simbolo per antonomasia di una Sicilia che non c’è più o che forse in fondo è cristallizzata per sempre.
    Per i potenti dell’Olimpo, allegoria del potere, la Colanton ha scelto un linguaggio informale. È lo stesso che usa chi decide della sorte dei disgraziati, mettendo in evidenza solo superficialità e ignoranza. È il linguaggio irriverente di chi non si cura delle sorti dei più deboli e meno fortunati che dovrebbe piuttosto difendere poiché ne ha il potere.
    “Gli inabissati” è un libro forte. Consolo lo classificherebbe fra la sempre più rara letteratura d’impegno che si inabissa sotto il peso di una sempre più comoda letteratura d’intrattenimento. È un testo che lascia l’amaro in bocca e pretende le dovute riflessioni.

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